L’intuizione donata da Dio a Francesco è stata la rivelazione della “bellezza” del Vangelo; di vivere secondo la forma -bellezza di Gesù. Secondo Francesco non si trattava di stabilire “che cosa fare” ma “come essere”. Essi volevano essere “Frati minori”. Per Francesco, diversamente dai “Frati Predicatori”, l’elemento costitutivo della loro identità non era “il perché essere sulla strada, ma “il modo di esservi”, per camminare dietro al Signore così da condividere tra loro e riproporre agli altri la sua forma di vita umile e povera condotta con i discepoli. Per attuare ciò coloro che venivano per abbracciare la forma minoritica di vita “secondo il Vangelo” erano chiamati a fare una scelta: vendere tutto quello che avevano e donarlo ai poveri (Mt 19,21). Era la scelta di partenza per diventare uomini liberi e leggeri, e perciò capaci di essere sulla strada, condividendo la sorte di Gesù.
[riflessioni liberamente tratte da La via di frate Francesco. Gli ultimi tre anni della vita del santo: introduzione ai centenari francescani” di fr. Pietro Maranesi, EMP, 2023]
Preghiera
O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
Et dame fede dricta, speranza certa e carità perfecta,
senno e cognoscemento, Signore,
che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen.
Dopo aver ottenuto dalla Chiesa l’approvazione della Regola riscritta, Francesco volle nel Natale di quell’anno, vedere con gli occhi del corpo quell’umiltà che aveva guidato i suoi passi facendogli superare il rischio di appropriarsi della sua intuizione di vita. A Greccio volle rivedere quella logica evangelica della nascita di quel Bambino, riproclamandola come sintesi di quanto aveva desiderato e vissuto: l’umiltà quale via alla vita. L’ umiltà del “Re povero” toccava il cuore di Francesco. Quel nome semplice di Gesù, visto a Betlemme e riproposto a Greccio, lo trasformava in profondità, facendolo diventare “pecora tra le pecore” che belavano nel presepio e regalandogli una dolcezza indicibile di miele sulle labbra. A Greccio rivedeva e riascoltava una notizia incredibile, quella che fin dall’inizio gli aveva toccato il cuore, riempiendolo di commozione e di gioia: l’umiltà di Dio! Colui che era “re” si è fatto “povero” e dalle altezze dei cieli aveva preso casa nella “piccola città di Betlemme”.
Preghiera...
Nell’Ammonizione “prima” il Santo lega il Natale al mistero dell’Eucaristia:
“Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine: ogni giorno Egli viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’Altare nelle mani del sacerdote”. (FF 144)
Nell’Eucaristia, più che nella passione di Cristo Francesco vede il suo Natale, cioè il movimento in cui il Verbo si è fatto Dono umile e povero per essere il Dio con noi.
In quel gesto liturgico egli vede lo stesso movimento di discesa che il Verbo aveva attuato nel grembo della Vergine, entrando nel mondo come un bambino povero e indifeso; in quell’atto rituale compiuto ogni giorno sull’Altare egli ascolta la stessa Parola che aveva risuonato quella notte a Betlemme. L’Altare, dunque, più che il Calvario, per Francesco è la grotta di BETLEMME. Ed è per questo che nelle mani povere del sacerdote riavveniva quanto era accaduto nel grembo della Vergine: quella volta avevamo visto l’umiltà di un bambino e ogni giorno contempliamo la semplicità umile del pane.
Preghiera…
Per capire La Verna occorre partire da Santa Maria degli Angeli alla Porziuncola. “Una gravissima tentazione” viveva il beato Francesco da quasi due anni mentre stava nel luogo della Porziuncola, che coinvolse tutta la sua persona: “interiormente ed esteriormente, corpo e spirito” (FF 1591). La condizione di turbamento era così grave e profonda da produrre in Francesco un rifiuto della vicinanza degli altri: “Alle volte fuggiva la compagnia dei fratelli”. La sua situazione spirituale e umana lo aveva gettato nello sconforto togliendogli la letizia.
Era questa “la grandissima tentazione”, la rottura con i suoi frati, che non erano più d’accordo con lui come agli inizi…
Doveva ritrovare e contemplare di nuovo il volto già visto all’inizio a San Damiano e rivisto ogni volta che smarriva la via della vita: doveva ritrovare il volto di Colui che dalla Croce lo guardava con gli occhi della carità divina. Per avere di nuovo la vera letizia, quella che non dipendeva dalla situazione o dai propri sentimenti, doveva rivedere gli occhi gloriosi di Cristo, di Colui che proprio sulla Croce divenne Figlio di un Padre che è nei cieli e fratello di tutti gli uomini sulla terra. Doveva salire di nuovo sul monte La Verna.
Preghiera…
Francesco vide quel volto glorioso e di conseguenza ascoltò ancora “la parola della croce”, quella di cui parla Paolo, qualificandola come “stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio”. (1Cor 1,18). Il Serafino gli fece ascoltare di nuovo la stessa Parola, ripiena della bellezza di Dio, risplendente nel volto del Cristo glorioso. Sul monte La Verna Francesco rivide quel volto e riascoltò ancora la parola della follia di Dio che in Cristo ci ha chiamato figli: la croce gli mostrava e proclamava di nuovo la carità-amore del Padre per il Figlio grazie al quale noi siamo diventati per sempre figli amati e prediletti. Dunque, per ritrovare in sé stesso la letizia del cuore, Francesco ebbe bisogno di ritrovare la via della carità con cui Dio ci aveva amati in Cristo!
E fu guarito perché, grazie a quell’incontro, le ferite si trasformarono in stimmate di Cristo.
Preghiera…
Una notte, dimorando a San Damiano, riflettendo il beato Francesco alle tante tribolazioni che aveva, fu mosso a pietà verso sé stesso e disse in cuor suo: “Signore vieni in soccorso alle mie infermità, affinché io sia capace di sopportarle con pazienza!” (FF 1614).
E così avvenne! Nell’intenso dialogo con Dio di quella notte Francesco quanto sapeva molto bene che in quelle condizioni rischiava di dimenticare: nelle sue sofferenze egli apparteneva al Signore, dal quale nulla poteva separarlo. E proprio in quella condizione e per quella consapevolezza rinnovata avrebbe ricevuto una grande ricompensa “come se tutta la terra fosse oro puro e tutte le pietre fossero pietre preziose e l’acqua fosse tutta balsamo”. Francesco credette di nuovo a questa promessa, secondo la quale le sue sofferenze erano una via verso una ricchezza, grande come il mondo intero, perché tramite essa avrebbe riottenuto il mondo intero: in tutte le creature, infatti, avrebbe rivisto risplendere la presenza del suo Signore, un’esperienza che avrebbe trasformato così l’intera creazione in uno scrigno di tesori preziosi che Dio gli stava di nuovo regalando.
Preghiera…
Come era avvenuto per le Lodi di Dio Altissimo, l’umiltà della condizione di creatura debole e fragile divenne in Francesco via alla lode. La terra, apparentemente arida della propria umanità, fiorì di nuovo diventando luogo mistico dell’incontro con Dio.
Quella mattina dopo aver raccontato ai frati la grazia notturna ricevuta, il santo elenca tre motivi che lo obbligavano a mettersi a scrivere:
Voglio quindi, a lode di Lui e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una nuova lauda del Signore riguardo alle sue creature… e postosi a sedere si concentrò a riflettere e poi disse:
Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so le laude, la gloria e l’onore e onne benedizione.
A te solo, Altissimo, se confano
e nullo omo è digno te mentovare.
Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,
spezialmente messer lo frate Sole,
lo quale è iorno, e allumini noi per lui.
(continua la Preghiera…)
L’ultimo atto, quasi a conclusione della sua intera esistenza, è compiuto da Francesco su richiesta dei frati, quando nel 1226 a Siena lasciò ad essi un breve scritto ammonitivo, il “piccolo” Testamento, primo abbozzo di ciò che nei mesi successivi diventerà il “grande” Testamento.
Quanto si era assunto come compito principale all’inizio della fraternità ritorna a essere l’ultima occupazione e preoccupazione prima della morte: la cura dei fratelli. Prima di lasciare il mondo per incontrarsi con il suo Signore, egli volle congedarsi dai suoi frati lasciando loro un testo con il quale aiutarli a rimanere fedeli all’identità da lui scoperta e da essi abbracciata nella sequela del Vangelo.
Francesco percepisce con chiarezza che era giunto il tempo di ricordare e di salutare; il tempo in cui si deve prendere in mano l’essenziale della propria vita e di consegnarlo ad altri.
E lo fa essenzialmente ribadendo il nome con il quale fu chiamato agli inizi, quando si mise alla sequela di Cristo: “frate Francesco”. Con esso ricordava a sé stesso e consegnava ai fratelli una duplice verità costitutiva sia della sua identità umana e cristiana, sia dell’eredità preziosa lasciata ad essi per il futuro.
Preghiera…
Con il Testamento Francesco aveva preso congedo dai frati, ribadendo la sua identità di figlio e dunque di fratello. Era pronto all’ultimo tratto, quello in cui sarebbe stato accompagnato da sorella Morte al Padre. Sugli eventi di quegli ultimi giorni di vita molte sono le fonti: si è di fronte a una doppia prospettiva: nel primo caso è narrata la morte di un uomo che da “uomo”, cioè da bisognoso si consegna a Dio lasciandosi aiutare dai fratelli; nel secondo è descritto invece il transito glorioso “di un santo”, ammirato dai suoi fratelli come modello di perfezione evangelica. Due modalità di narrare quegli ultimi giorni… La prima racconta la morte di un “uomo cristiano”, dove Francesco accetta di essere “frate piccolino”; l’altra, quella di un “eroe santo”, capace di dominare la morte, accolta e gestita come una grande liturgia celebrata su sé stesso per i frati e davanti a Dio. È difficile dire quale sia la lettura più vicina alla verità dei fatti… Sarebbe bello poter essere come il san Francesco presentato da Bonaventura: fino alla fine consapevole e libero, un esempio di santità, forte e sicuro nel momento della morte. Eppure, il racconto dei Compagni trasmesso dalla Compilazione di Assisi costituisce un incoraggiamento per tutti gli uomini che vivono la paura e lo smarrimento di quell’ultima e definitiva fragilità, rappresentata dalla morte. La santità eroica vissuta da Francesco nel suo morire fa sognare… Il Francesco umano aiuta ad accettare con più serenità la fragilità di quello che siamo, nella certezza che saremo accolti nella casa del Padre non perché eroici, ma perché umani!
Preghiera…
[riflessioni liberamente tratte da La via di frate Francesco. Gli ultimi tre anni della vita del santo: introduzione ai centenari francescani” di fr. Pietro Maranesi, EMP, 2023]